12 aprile 2007

UN MONDO A COLORI


Pare vada di moda, ormai da diversi anni, parlare dell’abbattimento dei confini politici, sociali e culturali, una sorta di annullamento delle distanze geografiche tale da rendere reale e tangibile quel vecchio detto che recita: tutto il mondo è paese.
Questa sarebbe una rapidissima definizione di ciò che attualmente è definita “globalizzazione”.
Ma per fortuna il mondo è composto da tantissimi paesi, ognuno caratterizzato da proprie usanze, costumi e tutto ciò che rientra nel relativo folklore.
Per forza di cose il concetto di globalizzazione, al di là della propaganda di cui è oggetto, è una realtà che giorno dopo giorno segna capitoli nel corso di una storia troppo veloce per essere adeguatamente controllata.
Si arriva dunque a città composte di cittadini di paesi e razze diverse, talvolta in contrasto con la categoria dominante dando vita dunque a stereotipe forme di razzismo che da secoli hanno modificato solo l’epiteto con cui vengono designate ma rimaste immutate nella sostanza.
Potrebbe sembrare utopico parlare di uguaglianza e di rispetto reciproco ma, per fortuna, tutto il mondo non è un paese solo e la valorizzazione delle differenze di tipo culturale, religioso e, perché no folkloristico, porta gradatamente all’accettazione sociale delle “minoranze” e alla tutela di quelle culture specifiche da cui sarebbe bene trarre qualche insegnamento al fine di un arricchimento personale.
Intercultura quindi, intesa come un reciproco scambio, tolleranza e rispetto, annullamento delle distanze geografiche all’interno di uno stesso territorio. È questo che consentirebbe la realizzazione di un mondo a colori mescolati ma di per se ben distinti.
A favore dell’intercultura sono stati avviati dei progetti , per trarne vantaggi o quanto meno per un confronto con un modello effettivamente diverso da quello in cui si è sempre vissuti.
Tuttavia si tratta di esperienze provvisorie; esistono però nel nostro paese una serie di comunità straniere che si desidererebbe integrare. Parafrasando un altro proverbio e cioè: “il mondo è bello perché è vario”, si dovrebbe apprezzare la diversità e imparare a conviverci. Esistono in alcune città italiane delle vere e proprie comunità (si pensi a quelle ebre) che, in spazi a loro adibiti, professano il proprio culto e mantengono vive quelle tradizioni che da secoli contraddistinguono quel popolo.
In Italia però ci sono tanti stranieri che hanno diritto a vivere la propria cultura anche in uno stato non proprio e questo stesso stato “ospitante” dovrebbe tutelare e assicurare una libertà di folklore non in separata sede, ma integrata in un contesto nuovo con cui confrontarsi per iniziare a disegnare i contorni di quel mondo a colori.

Post a cura di CLAUDIO, un amico!

Grazie a CLAUDIO per il post.




Noi siamo un gruppo di persone provenienti da paesi diversi. Stiamo facendo il corso per Mediatore Culturale presso l'agenzia ploteus di San Marco - Locorotondo